Vento di Scirocco

La settimana scorsa vi ho parlato del libro che ho da poco finito di leggere “Il Piccolo libro dei venti”.

Una delle parti che mi ha affascinato di più è quella dove l’autore parla del vento di Scirocco e degli Sciroccati. Voglio riproporvi un racconto che ho trovato leggendo il blog di un autore che ho iniziato a seguire da poco.  Questo racconto o meglio questa storia d’amore sono di Alessandro D’Avenia, nato a Palermo, scrittore e insegnante di italiano. Ha pubblicato alcuni romanzi, il primo “Bianca come il latte, rossa come il sangue” (Mondadori, 2010), l’ultimo uscito ad ottobre di quest’anno “Ogni storia è una storia d’amore”. Il suo blog è: www.profduepuntozero.it , dove troverete questo racconto che vi ripubblico. Un meraviglioso racconto sul pazzo vento di Scirocco raccontato da un padre siciliano al proprio figlio. Lo Scirocco raccontato dalla Sicilia dove questo vento è di casa. Chi meglio di un siciliano può spiegare questo vento!

FIGLIO DELLO SCIROCCO di Alessandro D’Avenia

“Era d’estate. Nell’antica casa di Palermo in cui abitavo c’era una stanza, la più interna e fresca: un’alcova di muri spessi. Quando spira lo Scirocco e l’aria diventa gialla, si bagna il pavimento di quella stanza e ci si stende per terra, in mutande, la guancia e i polsi incollati a terra, in croce. Non ci sono finestre, lì lo Scirocco non può trovarti, perché lo Scirocco fa impazzire, ti viene “un colpo” se ti trova. È una belva che scioglie le ginocchia e quando si avvicina c’è quel silenzio che hanno le cose in equilibrio subito prima di crollare: un palazzo incendiato, prima di precipitare; un bosco, prima del temporale; la terra, prima di un terremoto.

I miei avi hanno imparato a difendersi dalla bestia che soffia, nascondendosi in questa stanza irraggiungibile, come il cuore. Infatti se quel vento ti entra nella testa vedi miraggi, sei uno “sciroccato” si dice, però passa. Ma se ti entra nel cuore, sei fottuto: ti brucia da dentro e ti inaridisce, come fa con gli alberi di arance.  Niente è più serio dello Scirocco nella mia terra. Nella stanza dello Scirocco non resta che fare i conti con quello che si ha e quello che non si ha. Non c’è altro. Quello che trovi in quella stanza, nudo, senza niente, ti salva. Forse per questo mia nonna diceva sempre: Tri sunnu li putenti: u papa, u re e cu’ nun havi nenti. Ricordo i discorsi sussurrati in quella stanza, anzi sono gli unici che ricordo. Un giorno, mentre lo Scirocco mordeva l’aria estiva, screpolava le persiane, abbatteva i cani, parlai con mio padre. Ero solo un bambino.

“Arriva”

“Chi?”

“Lo Scirocco”

“Come lo sai?”

“Il mare. Lo senti?”

“No”

“Appunto. Quando il mare rallenta e respira piano, le cicale impazziscono di paura e lo richiamano  a fare il suo dovere. Lui arriva”

“Chi?”

“Te l’ho detto, scimunito. Lo Scirocco”

“E che si fa?”

“Come il mare. Respira piano. Appoggia la guancia al pavimento: aspetta e ascolta”

“Cosa?”

“Storie”

“Che storie?”

“Storie d’amore”

“E perché d’amore?”

“Ne esistono altre?”

“Che ne so, storie di avventura, di battaglie, di mistero…”

“E per cos’altro si va all’avventura, si soffre e si risolvono indovinelli?”

“E tu quali storie sai, papà’”

“Una sola”

“Solo una?”

“Basta e avanza”

“E come fa?”

“C’è un ragazzo. Suo padre dice che sarebbe ora che si sposasse. Sua madre dice che sarebbe bello piuttosto che si innamorasse. Suo padre dice che non c’è differenza. Sua madre dice che la differenza c’è. Suo padre non dice più nulla, tanto sua moglie ha sempre ragione”

“E poi?”

“E poi s’innamora”

“E finisce così?”

“Perché c’è altro?”

“Lei com’è? Cosa succede?”

“Lei è tua madre. Lui le dice ti amo. Non c’è altro. I dolori, le cadute, le avventure, i misteri, le gioie si dimenticano.”

“Ma di questo sono fatte le storie!”

“Non quando c’è lo Scirocco”

“Perché?”

“Quando c’è lo Scirocco bisogna andare all’osso”

“E qual è l’osso?”

“Quello che resta. Il mare. Il vento. Le stelle. La sabbia”

“E che fanno?”

“Lo sfondo”

“Lo sfondo?”

“Della commedia”

“Quale?”

“Quella di chi è innamorato”

“È una commedia?”

“Sì”

“Perché si ride?”

“No”

“E perché?”

“Perché finisce bene”

“E la tua storia come finisce?”

“Bene”

“E basta?”

“Sì”

“Neanche una lacrima?”

“Continuamente”

“Papà, ma che commedia è se si piange?”

“Figlio mio, che commedia è se non si piange?”

“Che cosa è questo rumore?”

“Quale?”

“Questo tum-tum. Sbattono le porte?”

“No. È il cuore, scimunito”

“Che ne so io che si sente il cuore nel pavimento…”

“Il giorno che non lo senti, vuol dire che lo Scirocco te l’ha bruciato. Quella è una tragedia…”

“Il mio è più veloce del tuo, papà, lo senti?”

“Lo so”

“Perché?”

“Perché ama poco”

“Perché quando ama rallenta?”

“Certo”

“E perché?”

“Perché non ha fretta”

“E poi?”

“E poi si ferma”

“Quando?”

“Quando non ha più fretta per niente”

“E quand’è?”

“Quando finisce la commedia”

“E che succede?”

“Si ride”

“Che è sto silenzio?”

“È arrivato, se senti il silenzio…”

“Beddamatri, fa scantari!”

“Lascia stare mamma. E poi non è una disgrazia…”

“Ma se bisogna nascondersi, parlare piano… Fa paura lo Scirocco”

“Tu sei figlio dello Scirocco”

“Io?”

“Era un giorno di Scirocco terribile, i fiori e i cani fuori morivano, e tua madre e io eravamo qui per terra…”

“E allora?”

“Scimunito, a te lo Scirocco t’è rimasto in testa”

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